Il dono più grande che ho ricevuto? La mia esperienza di volontariato
Pensavo di averle viste tutte nella vita, poi ho iniziato il mio percorso di volontariato e ho capito che di cose da vedere ce n’erano ancora tantissime.
Nel dicembre del 2007 mi accingevo alla pensione dopo tanti anni di lavoro e avevo già deciso che avrei dedicato il mio tempo ad attività di volontariato, qui nel mio paese (Gottolengo, in provincia di Brescia).
Non sapevo ancora né dove né come, non sapevo se alla scuola materna o alla casa di risposo ma sapevo che l’avrei fatto.
E mentre aspettavo l’ultimo giorno di lavoro, sono stato contattato dall’allora sindaco del paese: «Ciao Tiziano! La Comunità di Gottolengo della Cooperativa di Bessimo ONLUS cerca una persona che possa dare una mano come volontario: che ne dici?».
E così, una sera di maggio del 2008, mi invitarono a cena nella struttura, rivolta a sole donne, insieme a mia moglie per fare conoscenza. Ci sono andato, lo ammetto, con curiosità ma fermo nell’idea che, se non mi fossi trovato bene – e viceversa – non avrei accettato. Era un venerdì. Il lunedì successivo ero già volontario a tempo pieno e da lì in poi non ho più smesso.
La Cooperativa di Bessimo ONLUS si occupa di persone con problemi di dipendenza dal 1976 e l’apporto che i volontari offrono agli operatori e agli educatori è fondamentale: io ho iniziato svolgendo alcune attività in struttura e mi sono sentito da subito molto utile soprattutto perché Anna, la nuova Responsabile della Comunità – che si è insediata proprio quel lunedì nel quale ho iniziato –, ha trovato in me una guida sul territorio a lei ancora sconosciuto.
Dopo qualche giorno di assestamento, ho iniziato ciò che sarebbe diventata la mia vera e propria esperienza di volontariato. Quasi ogni giorno, infatti, partivo da Gottolengo per raggiungere località anche molto lontane – Torino, Milano, Como – nell’ambito degli “accompagnamenti esterni” (spostamenti che gli utenti sostengono per entrare in comunità o per altri motivi legati al proprio percorso di recupero). Quasi ogni giorno ero insieme alle ragazze, le utenti della comunità, e alle loro storie.
Ecco, proprio quelle storie mi hanno cambiato la vita. Ne ho ascoltate tante e altrettante, per un pezzo, le ho vissute con loro. Con quei primi gruppi di ragazze che ho incontrato all’inizio sono ancora in contatto: anche se hanno terminato il percorso di recupero e sono rientrate nella società recuperando appieno la propria vita, mi telefonano per sapere come sto, per scambiare qualche parola, per dirmi che – adesso – va tutto bene.
No, non penso di avere grandi meriti, questo lo lascio dire a loro, penso però che intessere relazioni così profonde non capiti tutti i giorni, capita invece quando si condivide qualcosa di importante, di intenso.
Qualcosa che a me è rimasto, e resta ogni giorno, impresso dentro, nel profondo.
Quasi ogni sabato per tanti anni, io e mia moglie (anche lei volontaria esperta e sempre ben disponibile) abbiamo accompagnato un gruppetto di 7-8 ragazze a messa. Partivamo dalla comunità per raggiungere la chiesa del paese.
All’inizio, per loro, era solo un modo per uscire dalla comunità e cambiare aria, staccare dalla routine, godere della propria libertà anche se – e ci tengo a sottolinearlo – nella comunità, le ragazze sono trattate benissimo, rispettate e sempre libere di scegliere e confermare il proprio percorso di recupero.
Poi, dopo la messa, ho pensato potesse essere bello per loro trascorrere ancora un po’ di tempo insieme e allora ho deciso di portarle a casa nostra dove mia moglie faceva trovare loro una fetta di torta appena sfornata e un bicchiere di aranciata.
Niente di che, certo, era semplicemente l’occasione per stare insieme, per chiacchierare, per condividere con loro un momento all’esterno della comunità, uno spazio che non è «fuga dalla comunità», ma un momento di tempo libero lontano dalla dipendenza. All’inizio per alcune ragazze la vita di comunità in sé non è facile e spesso non ci sono forti motivazioni per affrontare un percorso terapeutico: all’inizio è dura, ma poi è quella fatica che ti restituisce la vita. E questa cosa l’ho capita vivendo con loro quei semplici momenti conviviali.
Nel mio tempo da volontario ho scoperto la tolleranza, ho imparato la pazienza che prima non avevo (si, lo ammetto…ho un carattere «esplosivo») e che, invece, mi ha permesso di affrontarmi e di maturare, ho capito tante cose di me e tante cose degli altri (e ancora ne devo capire).
Certo, di momenti difficili ce ne sono stati tanti. In questi anni tante ragazze ce l’hanno fatta ma altre no e ci hanno lasciati prima del tempo, persone alle quali mi ero sinceramente affezionato e che hanno lasciato un grande vuoto in tutti noi.
Altre hanno tentato di affrontare il percorso ma, all’inizio, hanno fallito ricadendo nell’uso delle sostanze.
Addirittura ci sono stati alcuni casi di utenti che all’esterno della comunità hanno assunto sostanze e sono state male davanti ai miei occhi. Per fortuna si è sempre concluso tutto per il meglio, ma in quelle occasioni tornavo a casa la sera chiedendomi «ma chi me lo fa fare?». Si, perché quelle cose ti restano addosso, ti danno la misura di quanto si possa salire verso il recupero ma anche di quanto si possa cadere sotto i colpi della dipendenza.
Ringrazio mia moglie che mi ha sempre sostenuto ricordandomi quale fosse l’obiettivo e quanto fosse – e io lo spero davvero – utile la mia presenza e il mio apporto in quelle situazioni.
E così ho continuato. Anche a dispetto di ciò che, spesso, amici e conoscenti mi dicevano «Tu sei matto a metterti in mezzo ai tossici!» oppure «ma come fai a fidarti di quella gente?».
Cose alle quali, personalmente, non ho mai dato peso. Un po’ perché non ho mai pensato che le persone con problemi di dipendenza siano «cattive», ma piuttosto persone con un problema da risolvere. Come tutti. E un po’ perché la vita va presa un giorno alla volta: ciò che accadrà, accadrà e quando sarà il momento ne prenderemo atto. Se avessi dato ascolto agli altri, non avrei sicuramente combinato niente.
La mia esperienza di volontariato è la mia esperienza di dono.
Si, quel dono grande l’ho sempre ricevuto io trascorrendo del tempo con quelle persone e con le loro storie.